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Ascoltiamo due trii con pianoforte di Brahms e Beethoven nell’esecuzione di Yehudi Menuhin al violino, Maurice Gendron al violoncello e Hephzibah Menuhin al pianoforte.
In apertura troviamo il Trio n. 2 in do maggiore op. 87 scritto nel 1882 da Brahms. Considerata un’opera ponte tra la seconda e la terza sinfonia, questa partitura non ha mai riscosso larghi favori, tanto che Landormy la definì “poco riuscita e, stavolta, per confessione dei critici per solito più favorevoli a Brahms”. Pur se criticata dai contemporanei per la pretesa freddezza espressiva e un eccessivo tecnicismo, appare oggi un esempio della maestria compositiva di Brahms nella sua piena maturità.
Scritto nel marzo 1811, il Trio in si bemolle maggiore op. 97 “dell’Arciduca” si sviluppa in quattro movimenti: Allegro moderato – Scherzo. Allegro – Andante cantabile ma però con moto – Allegro moderato. La partitura è dedicata all’allievo e mecenate arciduca Rodolfo d’Asburgo. Si tratta di un’opera straordinaria per l’ampiezza e la varietà dell’impianto formale, per l’inventiva, l’espressività e la varietà timbrica. Beethoven è nel pieno della sua maturità ma minato dalla malattia, tanto che proprio la sua esecuzione del Trio come pianista nel 1814 segna la sua ultima apparizione in pubblico a causa della sordità.