12/10 - 21.06
La rilettura del mito di Faust attraverso la Faust-Symphonie di Franz Liszt (1854–57) e il Prologo in cielo dal Mefistofele di Arrigo Boito (1868, rev. 1875) rivela due momenti cruciali della riflessione ottocentesca sul rapporto tra arte, conoscenza e trascendenza.
Liszt, nel pieno della stagione del sinfonismo a programma, costruisce una delle sue architetture più ambiziose: una sinfonia “filosofica” in tre ritratti – Faust, Gretchen, Mefistofele – che trasforma il poema di Goethe in un itinerario psicologico. La scrittura tematica ciclica, il trattamento armonico visionario e la tensione verso l’unità spirituale riflettono l’ideale lisztiano di una musica capace di pensare, di farsi specchio del dramma interiore dell’uomo moderno.
Boito, invece, con il Prologo in cielo, traduce la stessa tensione in teatro: la sfida metafisica tra Dio e Mefistofele si fa spettacolo sonoro e morale. La sua partitura, impregnata di cromatismi wagneriani ma nutrita di una teatralità tutta italiana, fonde oratorio e opera per restituire la dimensione cosmica e ironica del mito.
Sia per Liszt che per Boito l’uomo faustiano non è più soltanto il simbolo dell’hybris conoscitiva, ma anche della crisi dell’assoluto. Tra sinfonia e teatro, il mito si rinnova come specchio di una modernità inquieta, sospesa tra redenzione e disincanto.
Ascoltiamo la Faust-Symphonie nell’esecuzione della Boston Symphony Orchestra col tenore Kenneth Riegel e il Prologo in cielo nell’esecuzione dei Wiener Philharmoniker con il Coro dell’Opera di Stato di Vienna e il basso Nicolai Ghiaurov. In entrambi i casi sul podio c’è Leonard Bernstein.