Per pianoforte e orchestra – Dopo Beethoven: l”800

Francesco Dilaghi traccia un percorso, necessariamente antologico, sulla forma del concerto per pianoforte e orchestra, da Bach a Bartók.
Qual’è l’etimologia della parola “concerto”: aspra contesa o intreccio pacifico? Vivace contrapposizione o accordo armonioso? Entrambe sono possibili, ed è forse proprio questa la ragione del successo di questo genere strumentale in cui lo strumento a tastiera dialoga con la multiforme compagine dell’orchestra dai mille diversi aspetti.
Una forma che ha conosciuto una crescente fortuna soprattutto tra la fine del Settecento e tutto il secolo successivo. E che solo verso la metà del Novecento sembra aver perso quella posizione di centralità nel repertorio e nel favore del pubblico.

Dopo Beethoven: l’Ottocento

Dopo Beethoven, il momento del Biedermeier apre le porte al grande repertorio dell’Ottocento – “il secolo del pianoforte” – con Chopin, Mendelssohn, Liszt, Brahms. Verso la fine del secolo il panorama del concerto pianistico si ramifica, si fa più complesso e variegato allargandosi a più vasti orizzonti: soprattutto in Francia con Saint-Saens e in Russia con Čaikovskij e Rachmaninoff (anche se l’attività creativa di quest’ultimo si estende in pieno Novecento).

Intento non secondario di questo percorso, che attraversa oltre due secoli di musica, è proprio quello di esplorare il terreno, mettere a fuoco il contesto nel quale questi capolavori fioriscono. Di dare spazio anche a opere meno note e introdurre ogni volta uno di questi più conosciuti e amati capolavori: che si potrà ascoltare, alla fine di ogni puntata del ciclo, nel normale palinsesto della radio.

a cura di Francesco Dilaghi,

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Puntate

Il tempo in cui Beethoven scrisse i suoi cinque capolavori è anche un momento in cui la forma del concerto per pianoforte e orchestra conosce in area austro-tedesca una capillare diffusione. Un repertorio per lo più oggi rimasto escluso dal repertorio corrente, ma che può in vari casi riservare interessanti sorprese. Ma è soprattutto con Carl Maria von Weber che la forma e il linguaggio pianistico conoscono un nuovo impulso e nuovi sviluppi, resi possibili anche dai miglioramenti tecnici nella costruzione degli strumenti.


Il Biedermeier è il momento del ritorno all’ordine, della reazione ai rivolgimenti che Napoleone aveva portato in Europa. Un momento in cui si chiede, anche alla musica, composizioni piacevoli, brillanti, magari con un tocco di esotismo. Nel genere del concerto pianistico risponde a questa esigenza un nutrito manipoli di compositori: Field, Hummel, Moscheles, Kalkbrenner, solo per citarne alcuni. Ma è da questi modelli, tra i quali non mancano alcuni lavori eccellenti quanto sconosciuti, che prenderà il via la grande stagione del concerto e, in generale, del linguaggio pianistico romantico.


I due Concerti per pianoforte e orchestra – op.11 e op.21 – di Chopin sono entrambi scritti in giovane età. Ed è sulle opere degli autori già ricordati – figure di primo piano della stagione Biedermeier, tutti appartenenti alla categoria del “pianista-compositore” – che si formano la personalità e il linguaggio innovativo del giovanissimo Chopin. Anche se destinate a restare le sue uniche opere in questo genere, i due Concerti per pianoforte e orchestra sono fondamentali pietre miliari del repertorio pianistico.


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