Alla fine del 1935 Prokof’ev torna definitivamente in Russia, ora Unione Sovietica, dove vedrà la luce l’opera 75: Romeo e Giulietta. Il ritorno in patria avviene in uno dei momenti più difficili e ricchi di premonizioni tragiche per gli artisti e i musicisti in particolare. Cosa lo spinge? La speranza di poter dare un contributo alla rinascita del popolo russo? Credeva di poter godere di una posizione di privilegio? Sperava di avere più tempo per comporre? Certo un po’ di tutto questo, ma solo una piccola parte dei suoi desideri si concretizza. Il resto viene maciullato dalla violenza politica, dalla grettezza burocratica, dalle invidie velenose, dalla tragedia della guerra. Perfino un capolavoro come Romeo e Giulietta fatica a trovare la via del palcoscenico. Così – con un paradosso inimmaginabile in qualunque altro luogo e tempo – prima che nella sua veste naturale di balletto, si afferma nelle sue due riduzioni in forma di suite sinfonica o nella superba trascrizione per pianoforte solo che ascolteremo da Vladimir Ashkenazy e Lazar Berman.