Claudio Arrau interpreta due Sonate di Beethoven in una registrazione dal vivo effettuata a Pasadena il 18 febbraio 1986. Il pianista cileno, venuto a mancare nel 1991 all’età di ottantotto anni, si misura con due capolavori: la Sonata n. 26 in mi bemolle maggiore op. 81a «Les adieux» e la Sonata n. 21 in do maggiore op. 53 «Waldstein».

Scritte entrambe nel primo decennio dell’Ottocento, le Sonate Waldstein (1803–04) e Les Adieux (1809–10) segnano due momenti cruciali nel percorso beethoveniano: l’una come manifesto della nuova monumentalità eroica del cosiddetto “periodo medio”, l’altra come esempio della progressiva interiorizzazione di tale linguaggio in chiave lirico-narrativa.

La Sonata n. 21 in do maggiore op. 53 “Waldstein”, dedicata al conte Ferdinand von Waldstein, è emblematica della fase in cui Beethoven definisce un linguaggio pianisticamente sinfonico. La scrittura si espande oltre i limiti dello strumento, facendo del pianoforte un’orchestra in miniatura: masse sonore, ampie arcate formali e luminosità timbrica convergono in un discorso di impeto e chiarezza architettonica.

La Sonata n. 26 in mi bemolle maggiore op. 81a “Les Adieux” (dedicata all’arciduca Rodolfo) traduce in musica una vicenda personale e affettiva — la partenza, l’assenza e il ritorno dell’amico e mecenate — attraverso un raro esempio di narrazione esplicita in Beethoven. Qui il linguaggio eroico del periodo precedente si piega a una dimensione più umana e sentimentale, anticipando la libertà poetica e psicologica dell’ultimo Beethoven.

Accostate, le due Sonate delineano la parabola di un pensiero in evoluzione: dalla conquista titanica della forma alla sua trasfigurazione poetica, dal gesto sinfonico alla confessione interiore. Entrambe testimoniano la capacità di Beethoven di reinventare la sonata come spazio di dramma, filosofia e sentimento.